Ecumenical Prayer Cycle

giovedì 31 marzo 2022

Disarmiamoci


 

 
Ho letto con interesse e coinvolgimento il recente articolo di Vito Mancuso del 29 marzo sul suo sito, dal titolo “Sulle armi e la loro necessità”. Vorrei evidenziare quelli che ritengo limiti e contraddizioni del ragionamento sviluppato da Mancuso.
Innanzitutto, pur parlando di armi, sarebbe bene “disarmare” il linguaggio: davvero ci siamo messi tutti ad “armare la propria” mente? Davvero ci informiamo solo per “acquisire munizioni cognitive per bombardare con le nostre parole le postazioni avversari”? Abbiamo visto con la pandemia come sia facile – ma anche pericoloso e controproducente – fare ricorso al linguaggio della guerra anziché a quello della cura: non mi pare fecondo utilizzarlo anche per un serio dibattito pubblico. Non si rischia in questo modo di ergere a paradigma la logica del “discorso di odio”? Inoltre mi pare si venga così a creare un cortocircuito con la conclusione del ragionamento di Mancuso: come ipotizzare “un investimento [dei governi] ancora più importante riservando all’educazione della coscienza il doppio di quanto investono per le armi”, se ogni acquisizione di nozioni – presupposto per un’educazione della coscienza – è vista come incetta di “munizioni cognitive per bombardare”?
Personalmente, e non mi pare proprio di essere l’unico, leggo e mi informo per cercare di capire, sia gli eventi che le loro conseguenze sulle persone, sul loro modo di pensare e di agire; leggo e mi informo per mettere alla prova le mie convinzioni, per discernere cioè che maggiormente favorisce la pace giusta, la dignità di essere umano, la fratellanza universale.
Trovo fuorviante il riferimento a “l’insegnamento di Moro e di Campanella (e di molti altri che prefigurarono lo stato ideale, a partire da Platone)” per ribadire che perfino nel mondo dell’utopia le armi sono previste e necessarie in quanto “nello sforzo di ricercare la pace e l’armonia sopra ogni altra cosa non si può evitare di fare i conti con la realtà e con il male che essa purtroppo contiene, se si vuole essere responsabili”. Perché, invece di prendere esempi nel mondo immaginario, non ha citato persone che hanno fatto sì i conti con la realtà e con il male che contiene, ma lo hanno fatto molto realisticamente e in modo nonviolento? Non sembra a Mancuso che Gandhi o Martin Luther King o altri “nonviolenti attivi” avrebbero qualcosa da dire ancora oggi, forse ancor più, almeno su questo argomento, di Moro e Campanella? Così si terrebbe anche conto che le armi di cui parlavano Platone, Moro e Campanella non sono neanche lontanamente paragonabili non solo agli odierni ordigni nucleari ma neanche alle armi “convenzionali”.
Mancuso inoltre sembra ignorare che la stessa legislazione italiana, nel lungo iter che ha preceduto e seguito la Legge 772/1972 sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare ha stabilito che il sacro dovere di difesa della patria può essere assolto anche senza armi? È al corrente che questo “sacro dovere” non è venuto meno neanche dopo l’abolizione del servizio di leva obbligatorio?
La sua domanda “come ci si difende senza le armi?” è artificio retorico oppure ignoranza di tutta l’ormai secolare prassi (e relativa ampia letteratura) sulla “difesa popolare nonviolenta”? O entrambe le cose? È al corrente che uno stato sovrano come il Costarica ha rinunciato all’esercito più di settant’anni fa e gode di un tenore di vita nettamente migliore di quello dei paesi confinanti?
Le mie sono osservazioni ingenue, ma confido venga loro riconosciuta la nonviolenza che intendono esprimere e alimentare.