giovedì 19 settembre 2019

Abuna Matta el Meskin a 100 anni dalla nascita

Il 20 settembre 2019 ricorrono i cent'anni dalla nascita di Abuna Matta el Meskin, padre spirituale del monastero copto di San Macario (Deir Abu Makar) nel deserto egiziano.
Per esprimere la mia gratitudine al Signore per avermi fatto il dono di potermi ispirare al suo magistero spirituale, ripropongo il testo del mio intervento alla giornata dedicata a
"Matta el Meskin a 10 anni dalla sua dipartita"
svoltasi ad Alessandria d'Egitto il 28 luglio 2016, su iniziativa del vescovo Anba Epiphanius, discepolo di Abuna Matta el Meskin e allora superiore di Deir Abu Makar. 

Questo testo vuole anche onorare la memoria dell'amato Anba Epiphanius, tragicamente scomparso proprio due anni dopo quella giornata di intensa spiritualità.



MATTA EL MESKIN A 10 ANNI DALLA DIPARTITA

Alexandria, Egitto, 28 luglio 2016
Intervento di fr. Guido Dotti, monaco di Bose
Desidero innanzitutto esprimere la mia profonda gratitudine al Signore per avermi fatto il dono di essere in mezzo a voi oggi. È il Signore Gesù Cristo che ci raduna oggi, uniti nell’ascolto della sua Parola e della luminosa testimonianza offerta dal suo discepolo abuna Matta el Meskin. E la mia gratitudine va anche agli organizzatori, che hanno voluto che aggiungessi la mia povera voce a quella di persone che hanno conosciuto e amato abuna Matta ben più di quanto abbia potuto farlo io.
Inizierò confessandovi confessare una verità che alcuni di voi conoscono bene: io non ho mai incontrato abuna Matta. Non l’ho incontrato durante il mio primo soggiorno di otto giorni a Deir Abu Makar nel 1985, non l’ho incontrato quando ci sono ritornato nel 1997. Non l’ho mai incontrato, eppure credo di poter dire che l’ho sempre conosciuto, da quando ho iniziato il mio cammino monastico a Bose quasi 45 anni fa. L’ho conosciuto perché ne ho letto alcuni scritti già nel 1972: ero da poco entrato come novizio nel Monastero di Bose e fr Enzo Bianchi, il priore, mi diede tra i testi da leggere un articolo di abuna Matta che aveva come titolo (in italiano) Ecumenismo o coalizione?, dicendomi: “Ecco, questo è l’ecumenismo come tentiamo di viverlo a Bose e questo è il monachesimo del deserto egiziano a cui ci ispiriamo!”.

Come emerso durante i giorni nel Convegno che il mio Monastero di Bose ha dedicato ad abuna Matta el Meskin lo scorso mese di maggio, quell’articolo – che in francese aveva il titolo Unité chrétienne – era stato anche all'origine del primo incontro tra il suo futuro discepolo Wadid e abuna Matta el Meskin a Wadi Rayyan...
Nell’ottobre del 1985 ebbi il grande dono di poter trascorrere alcuni giorni a Deir Abu Makar. Come accaduto anni prima al priore fr Enzo Bianchi, non potei incontrare abuna Matta, convinto nella sua umiltà che “solo l’incontro con il Signore resta fondamentale per ogni cristiano e per ogni monaco”. Ma lo spirito che lo animava mi giunse attraverso il vissuto dei suoi monaci – parabola vivente di cosa significa la sequela cristiana nella via monastica – e per me in particolare grazie ai dialoghi fraterni con fr. Wadid, uomo di pace e di accoglienza, capace allora come oggi di trasmettere a quanti lo accostano l’intensa ricerca della comunione nell’amore che arde in lui come ardeva nel suo padre spirituale.
Da quel primo incontro, che era stato preceduto da una visita del mio priore fr. Enzo, sia io che altri miei fratelli siamo tornati più volte a Deir Abu Makar, per confrontarci con una testimonianza monastica che ci riporta all’essenziale della nostra vocazione, per abbeverarci alle sorgenti del monachesimo cristiano e per cercare di leggere insieme ad altri fratelli nella fede “ciò che lo Spirito Santo dice alle chiese”. Non solo, l’anno successivo con la nostra casa editrice nata solo tre anni prima, decidemmo di iniziare a pubblicare in italiano alcuni scritti di abuna Matta el Meskin: l’antologia Communion of love uscita in USA ci servì da riferimento per assemblarne una con il medesimo titolo in italiano, nella quale però inserimmo altri testi, a cominciare dall’articolo sull’unità dei cristiani ricordato prima. Mi occupai della traduzione dall’inglese e dal francese (non conosco infatti l’arabo, come potete costatare voi stessi), ma traducendo mi nutrivo spiritualmente di quei testi. In particolare vorrei ricordare il capitolo dedicato a Come leggere la Bibbia che sembrava ai miei occhi ridire con le parole e l’approccio proprio dei padri del deserto quello che avevo imparato a Bose circa la lectio divina, la lettura spirituale della sacra Scrittura, grazie al libro di fr Enzo Bianchi, Pregare la parola. Due anni dopo (1988) fu la volta della traduzione e pubblicazione del fortunatissimo Consigli per la preghiera che univa due testi, usciti l’uno in francese e l’altro in inglese. Anche questo è diventato per me un libro-guida che mi ha accompagnato nel mio cammino monastico.
Come vedete, il cammino che ci ha condotto a organizzare un Convegno su abuna Matta a Bose ha origini molto lontane, ma ha iniziato a diventare progetto concreto con la visita di S.S. papa Tawadros a Bose il 16 maggio 2013 (giorno successivo alla memoria di san Pacomio nel nostro calendario liturgico), accompagnato da Anba Kyrolos di Milano e da altri Vescovi, tra cui Anba Epiphanius, discepolo e successore di Matta el Meskin alla guida di Deir Abu Makar.



Lì una profonda consonanza spirituale ha avuto il dono di potersi manifestare in sguardi, parole, scambi fraterni. Così, quando Anba Epiphanius è tornato a Bose lo scorso settembre per tenere una conferenza al nostro Convegno internazionale ortodosso dedicato alla Misericordia, è stato naturale progettare assieme a lui e con la benedizione di papa Tawadros il Convegno dedicato a Matta el Meskin. In quell’occasione Anba Epiphanius non ha solo presentato la dottrina di abuna Matta sulla misercordia, ma ha parlato a noi monaci di Bose da cuore a cuore, come un amico parla a un amico, ci ha fatto sentire fratelli e sorelle suoi e dei monaci di Deir Abu Makar, in qualche modo, anche se indegnamente, discepoli di abuna Matta.


Vorrei allora riprendere alcune parole pronunciate da fr Enzo Bianchi in occasione del già menzionato Convegno che il Monastero di Bose ha voluto dedicare a Matta el Meskin a dieci anni dal suo passaggio dalla morte alla Vita. Le riprendo perché esprimono come io non saprei fare quello che io stesso ho sperimentato e sperimento ancora ogni volta che ho la grazie di poter tornare a Deir Abu Makar e ora anche di dialogare con l’amato Anba Epiphanius.
Dagli incontri fraterni con i monaci di San Macario è sempre emersa in tutta la sua trasparenza una vita che ha come fondamento il nutrimento quotidiano della parola di Dio, unico cibo che sostiene la speranza del regno di Dio. «Quando chiesi a Matta el Meskin di insegnarmi a pregare – mi confidò una volta un monaco – l’abba mi disse di dargli la mia Bibbia. Aprì il libro, cercò l’inizio della Lettera agli Efesini, si alzò, levò gli occhi al cielo, lesse ad alta voce il primo versetto, tacque, ripeté due volte ogni parola, poi rilesse tutto daccapo. Passò al versetto seguente, alzò la voce, supplicò Dio di perdonarlo, canticchiò il versetto, la ripeté a bassa voce, alzò le mani, pianse... E fece così fino alla fine del capitolo. Si era completamente dimenticato della mia presenza accanto a lui!».
Ma la Scrittura giunge attraverso una tradizione ed è per questo che – accanto ad essa – i detti degli abba del deserto e le opere dei padri della chiesa sono per i monaci di Scete cibo quotidiano nella lettura, nello studio, nella contemplazione. Così era solito ripetere abuna Matta: «Quando leggiamo un apoftegma, a noi deve accadere questo: prima lo Spirito ci convince che la loro esperienza è vera, poi dobbiamo lottare per fare nostra questa loro esperienza, perseverando nella lotta fino alla morte, cioè pronti a morire per rimanere fedeli al comandamento che lo Spirito ci ha dato … Se il monaco, prima ancora di ricevere l’abito, è pronto a rimanere incondizionatamente fedele, fino alla morte, se non ha paura della morte, allora la sua vita monastica sarà spiritualmente riuscita. Ma se teme per il suo corpo, se rifiuta di correre rischi, allora la sua vita monastica sarà molto penosa. Peggio ancora: sarà assai difficile per lui essere trasformato dallo Spirito in un uomo nuovo».
Ma c’è un elemento che mi sento di dover aggiungere in modo molto personale. Quando vado a Deir Abu Makar, sono attirato in modo particolarissimo dalle reliquie di Giovanni Kolobos, il padre del deserto che più mi è caro e lì, nella chiesa di Anba Ischerion, chiusi gli occhi e raccolto in preghiera, mi sembra di ritrovarmi nel IV secolo, in mezzo a quegli abba che hanno trasformato la loro vita in una pagina vivente di Vangelo.
Un’esperienza analoga l’ho provata nel 2007, quando ho guidato un gruppo di 37 monachi e monache cattolici della Africa occidentale francofona in un pellegrinaggio nei monasteri copti, abbiamo avuto il dono di ascoltare una meditazione di abuna Wadid su Macario il Grande. Ebbene, ascoltandolo mentre parlava di san Macario il Grande, del suo discernimento e della sua misericordia, non avrei saputo dire se stesse parlando del grande padre del deserto e di abuna Matta: nel mio cuore non scorgevo differenze.


Per questo non mi ha sorpreso il fatto che in Italia, quando si diffuse la notizia della scomparsa di Matta el Meskin, vi fu chi parlò della morte di un “padre del deserto”. In realtà la vicenda umana e cristiana di questo monaco conclusasi nella pace dopo ottantasei anni è stata ed è la prova che il monachesimo dei padri del deserto è ancora vivissimo e fecondo. Così, grazie alla sua saldezza nella fede e all’indomita speranza nella risurrezione, abuna Matta riposa ora là dove il suo cuore ha sempre desiderato essere: nella pace di Dio.
Una pace di cui il “giardino” di San Macario è anticipazione e promessa.
Shukran شكرا








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