mercoledì 3 novembre 2021

SERVE UN ESERCITO IN PIÙ?

Quattro novembre: fino a pochi anni fa in Italia si festeggiava l’anniversario della vittoria. Quest’anno si celebra anche il centenario della tumulazione della salma del “Milite ignoto” al Vittoriano, al termine del viaggio da Aquileia a Roma.


 

Occasione per fare memoria dell’immane prezzo che quella “inutile strage” ha voluto fosse pagato da tanti uomini e diverse donne, non certo “ignoti” a padri, madri, figli e figlie, amici che li avevano amati e perduti.


 

Nel Comune in cui risiedo i ceppi in memoria dei giovani caduti nella I Guerra mondiale sono 42: ho calcolato che corrispondono al 10% della popolazione maschile tra i 18 e i 40 anni che allora popolava il paese.

 


Ma questo 4 novembre è occasione anche per qualche riflessione e interrogativo sull’“esercito europeo”, la forza di difesa comune rievocata anche dalla presidente della Commissione europea nel suo recente “discorso dell’Unione”.

Ci si potrebbe rallegrare che quegli stessi Stati nazionali, che solo cent’anni fa (e poi ancora ottant’anni fa) avevano mandato alla carneficina ciascuno i propri giovani in eserciti ferocemente contrapposti, ora chiedano loro di impugnare – questa volta “professionalmente” – le armi in unico esercito, per fronteggiare insieme nuovi, diversi nemici.

E da un po’ di tempo il discorso pubblico si sta prodigando nell’inoculare dosi omeopatiche di accenni sempre più pervasivi sulla bontà-necessità-inevitabilità-urgenza-efficacia di un esercito comune europeo.

Ma le cose a me non paiono essere così positive.

La nuova forza di difesa comune, infatti, non sostituisce i singoli eserciti nazionali e nemmeno le truppe della NATO: vi si affianca, producendo come risultato non ventisette eserciti in meno, bensì uno in più.

Ora, l’Unione Europea non è (ancora, lo sarà mai?) uno Stato federale e gli eserciti esistenti non sono semplici “Guardie nazionali”, né esiste un Ministro della Difesa europeo, ma un Alto rappresentante per gli Affari esteri (cosa diversa dall’avere una politica estera comune, che infatti non esiste).

Sorgono allora spontanee alcune domande alle quali si fa fatica a trovare risposte chiare ed esaurienti nella comunicazione omeopatica di cui dicevo sopra:

Quale organismo democratico (Parlamento o simili) delibera condizioni, eventi e momenti puntuali nonché le regole di ingaggio e il finanziamento per l’uso dell’esercito europeo?

Chi può essere considerato il Comandante in capo o Capo supremo di tali forze armate?

Visto che non esiste una specifica tassazione europea, né una comune politica fiscale, con quali tasse europee verrà armato e mantenuto in efficienza tale esercito?

Chi deciderà gli armamenti di cui dotarlo?

E se una o più nazioni europee non condividono uno specifico impiego di tale esercito, sarà valida anche in campo militare la supremazia della legislazione europea su quelle nazionali?

E se, sempre per ipotesi, una o più nazioni, magari anche dotata di armamenti nucleari di cui l’esercito europeo non dispone, non accettasse tale subordinazione?

E se una nazione, membro della NATO ma non della UE, magari affacciata sul Mediterraneo, decidesse che la politica militare della UE non è di suo gradimento, come si comporterebbe la UE?

E se si dovessero verificare interessi divergenti tra NATO e UE sull’uso degli armamenti nucleari stoccati in una nazione membro sia della NATO che della UE, chi ne decide l’effettivo utilizzo?


Domande peregrine che un monaco non dovrebbe porsi, almeno stando a quanto disse l’abate generale dei trappisti a Thomas Merton, vietandogli di pubblicare i suoi scritti sulla pace “perché un monaco non deve occuparsi di questi argomenti politici”.

Ma il breve discorso di papa Francesco al cimitero militare francese il giorno della Commemorazione dei defunti – ennesimo suo intervento volto a fermare le guerre e a biasimare fabbricanti e commercianti di armi – mi ha riportato alle pagine della Pacem in terris e alla sua messa al bando del ristabilimento della giustizia attraverso la guerra:È alieno dalla ragione pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (§ 67).

Ma forse il costituendo esercito europeo non ha in programma alcuna guerra, solo un incremento del commercio di armi, che è secoli che vengono fabbricate e vendute ma, come si sa, non usate. Meglio così.

 


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