“Tradizione
è conservare il fuoco, non adorare le ceneri”.
Penso
sovente a questa frase di Gustav Mahler quando sento parlare, a
proposito e a sproposito, della “messa di sempre” o della
“immutabile dottrina cattolica”, quando sento ripetere che “si
è sempre fatto così”. In realtà il “sempre” si estende al
massimo per quattro o cinque secoli, rispetto ai due millenni che ci
separano dalla nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù
Cristo. Se al “sempre” si aggiunge anche l’“ovunque”, ci si
riferisce solo al mondo “occidentale” e alle sue estensioni al di
qua e al di là degli oceani.
Non
so in che contesto si collocasse l’aforismo di Mahler, così come
ignoro a chi si riferisse Charles Péguy quando, nella sua Note
conjointe sur Monsieur Descartes, così scriveva: “Non
basta abbassare ciò che è temporale per elevarsi nella categoria
dell’eterno. Non basta abbassare la natura per levarsi nella
categoria della grazia. Non basta abbassare il mondo per salire nella
categoria di Dio. […] Siccome non hanno la forza (e la grazia) di
essere della natura, credono di essere della grazia. Siccome non
hanno il coraggio del temporale, credono di aver penetrato l’eterno.
Siccome non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere
di Dio. Siccome non hanno il coraggio di essere di uno dei partiti
dell’uomo, credono di essere del partito di Dio. Siccome non sono
dell’uomo, credono di essere di Dio. Siccome non amano nessuno,
credono di amare Dio. Ma Gesù Cristo stesso è stato dell’uomo”.
Non
conosco i primi destinatari di questi pensieri, conosco però, e
credo di non essere l’unico, a chi oggi si possono applicare queste
parole di sapienza evangelica.
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