domenica 31 dicembre 2017

Traghettatore di senso

A inizio dicembre sono stato contattato da Dori Agrosi - anima del sito La Nota del Traduttore dedicato alla traduzione letteraria - affinché raccontassi la mia esperienza come traduttore del libro di Alexis Jenni Son visage et le tien, divenuto Il volto di tutti i volti nella versione italiana presso le Edizioni Qiqajon. Una richiesta inattesa e graditissima. Oggi, al volgere del nuovo anno, la mia "nota del traduttore" è stata pubblicata sul sito. Ne riporto qui il contenuto, assieme a un vivo ringraziamento a Dori e un caloroso augurio per un anno di pace a tutti.


Nella casa editrice di cui faccio parte fin dalla sua fondazione nel 1983 non svolgo più la funzione del traduttore con la frequenza dei primi anni: ormai mi viene affidato solo qualche testo, non troppo lungo, di autori francofoni con caratteristiche letterarie oltre che spirituali. Questo mi ha condotto all'inimmaginabile opportunità di tradurre uno scrittore vincitore del Prix Goncourt. Alexis Jenni vince a sorpresa il Premio letterario francese più prestigioso nel 2011 con il suo primo romanzo: L’art française de la guerre. Ovviamente la traduzione italiana esce da Mondadori, non certo da Qiqajon. Però lo scorso anno avviene un imprevisto: Jenni viene a Bose per preparare un libro intervista con fr. Enzo Bianchi sulla Comunità monastica di Bose da lui fondata, di cui faccio parte e di cui le Edizioni Qiqajon sono espressione. In quell’occasione ci fa dono del suo libro Son Visage et le tien, appena uscito per Albin Michel: un testo che ripercorre un cammino di riscoperta della fede cristiana attraverso i sensi. Esaminarlo e decidere di tradurlo è questione di poche ore. L’amicizia con l’autore, nata nell’occasione, vince le resistenze dell’editore originale a cedere i diritti a una piccola casa editrice e, al contempo, fornisce preziosi strumenti al traduttore.
Decido di non intraprendere la lettura del romanzo L’arte francese della guerra, né nell’originale francese, né nell’ottima traduzione italiana di Leopoldo Carra: non certo per supponenza, ma perché l’autore mi aveva confidato di aver voluto cambiare registro e stile per il suo nuovo libro per rivolgersi a un pubblico sensibilmente diverso. Così inizio il lavoro in modo meno condizionato ma, al tempo stesso, senza rete di protezione.
Leggo con calma l’intero testo e subito percepisco una difficoltà nei titoli dei capitoli: sono tutti verbi all’infinito – tranne l’ultimo, che darà il titolo all’originale francese: Il suo volto e il tuo – ma due di loro, posti in successione, costituiscono uno scoglio. Entendre abbraccia sì lo spazio della comprensione, ma il suo primo significato rimanda al “sentire”, al senso dell’udito. Bene, allora l’italiano “sentire” è il più appropriato. Peccato che il capitolo successivo si intitoli Sentir e giochi sull’ambivalenza di “udire” e di “provare un sentimento”. Quindi in diversi passaggi del capitolo il sinonimo “udire” è inutilizzabile per rendere la duplice valenza e, analogamente, “sentire” nel capitolo precedente non ricopre adeguatamente la dimensione della “comprensione”. Così, dopo diversi tentativi di uniformità nel tradurre le ricorrenze all’interno dei due capitoli, opto per il calco più immediato: entendre sarà (quasi sempre) “intendere” e sentir sarà “sentire”. Ovvio e banale, si direbbe. Io ci ho messo diversi giorni per arrendermi a questa evidenza.
Del resto è questa la mia opzione preferita per avvicinarmi all’impossibile risultato di una traduzione “bella e fedele” dal francese: incollarmi al testo, al suo scorrere parlato, alla prima reazione che penso susciti in un lettore francofono e cercare di riprodurre lo stesso risultato per un madrelingua italiano. Solo quando colgo già nell’originale l’intenzione di giocare sui doppi sensi o sui significati meno immediati di un termine o una locuzione mi discosto con convinzione dai termini equivalenti più piani, naturali.
Anche grazie a questo approccio il lavoro procede senza particolari intoppi, se non quelli legati a descrizioni di luoghi che non ho mai visitato o di pitture barocche che non mi hanno mai affascinato. Eppure un tarlo mi perseguita: il titolo originale non mi piace! È il titolo dell’ultimo capitolo e per quello va bene, ma per l’insieme dell’opera? Così all’ultima rilettura dell’intero testo ritrovo, proprio nel capitolo conclusivo, l’espressione che cercavo: “son visage”, quello di Cristo, è in un certo senso “il volto di tutti i volti”. Già, ma chi sono io per decidere di cambiare titolo al libro di un Prix Goncourt? Timoroso, mando una mail ad Alexis. Il giorno successivo mi arriva la risposta: “ce que tu proposes me paraît très bien, tout à fait dans l’esprit du livre, et plus harmonieux qu’une traduction littérale de Son visage et le tien. Donc c’est parfait”.

Il mio lavoro di traghettatore di senso è concluso.

lunedì 11 dicembre 2017

Nulla è estraneo

In un'antologia a cura di Enzo Bianchi edita da Einaudi – Il libro delle preghiere, purtroppo ora esaurita e disponibile solo in ebook – vi è una preghiera di un monaco russo anonimo che mi è subito parsa corrispondere al mio modo di pregare.
L’avevo allora usata come canovaccio per elaborarne una mia, che ormai da qualche anno abita i miei primi momenti mattutini.

Padre, è l’alba e un nuovo giorno mi avvicina al tuo Giorno.
Fa’ che io vada incontro nella pace
a tutto ciò che mi porterà questo giorno.
Fa’ che io mi abbandoni nella semplicità alla tua santa volontà.
Qualunque notizia io riceva oggi,
insegnami ad accettarla nella quiete e nella fede salda
che nulla può accadere di estraneo al rapporto con te.
In tutti gli eventi inattesi,
insegnami a fare memoria con gratitudine
della tua presenza in ogni cosa.
Donami in ogni momento la tua luce per discernere
e la tua forza per agire.
In ogni mia azione e parola la tua misericordia orienti i miei pensieri
e i miei sentimenti.
Insegnami ad agire con sapienza e intelligenza
verso i miei fratelli e le mie sorelle
e verso tutti e ciascuno, senza mortificare o contristare nessuno.
Insegnami a pregare, ad ascoltare, a credere,
a perseverare, a perdonare, a sperare, ad amare.


Nella foto, Padre Sofronio, discepolo di san Silvano del Monte Athos, che ho avuto il grande dono di incontrare nel suo Monastero di San Giovanni Battista a Maldon (Essex, UK), nel novembre 1979.