Nella
casa editrice di cui faccio parte fin dalla sua fondazione nel 1983
non svolgo più la funzione del traduttore con la frequenza dei primi
anni: ormai mi viene affidato solo qualche testo, non troppo lungo,
di autori francofoni con caratteristiche letterarie oltre che
spirituali. Questo mi ha condotto all'inimmaginabile opportunità
di tradurre uno scrittore vincitore del Prix Goncourt. Alexis Jenni
vince a sorpresa il Premio letterario francese più prestigioso nel
2011 con il suo primo romanzo: L’art
française de la guerre.
Ovviamente la traduzione italiana esce da Mondadori, non certo da
Qiqajon. Però lo scorso anno avviene un imprevisto: Jenni viene a
Bose per preparare un libro intervista con fr. Enzo Bianchi sulla
Comunità monastica di Bose da lui fondata, di cui faccio parte e di
cui le Edizioni Qiqajon sono espressione. In quell’occasione ci fa
dono del suo libro Son
Visage et le tien,
appena uscito per Albin Michel: un testo che ripercorre un cammino di
riscoperta della fede cristiana attraverso i sensi. Esaminarlo e
decidere di tradurlo è questione di poche ore. L’amicizia con
l’autore, nata nell’occasione, vince le resistenze dell’editore
originale a cedere i diritti a una piccola casa editrice e, al
contempo, fornisce preziosi strumenti al traduttore.
Decido
di non intraprendere la lettura del romanzo L’arte
francese della guerra,
né nell’originale francese, né nell’ottima traduzione italiana
di Leopoldo Carra: non certo per supponenza, ma perché l’autore mi
aveva confidato di aver voluto cambiare registro e stile per il suo
nuovo libro per rivolgersi a un pubblico sensibilmente diverso. Così
inizio il lavoro in modo meno condizionato ma, al tempo stesso, senza
rete di protezione.
Leggo
con calma l’intero testo e subito percepisco una difficoltà nei
titoli dei capitoli: sono tutti verbi all’infinito – tranne
l’ultimo, che darà il titolo all’originale francese: Il
suo volto e il tuo
– ma due di loro, posti in successione, costituiscono uno scoglio.
Entendre
abbraccia sì lo spazio della comprensione, ma il suo primo
significato rimanda al “sentire”, al senso dell’udito. Bene,
allora l’italiano “sentire” è il più appropriato. Peccato che
il capitolo successivo si intitoli Sentir
e giochi sull’ambivalenza di “udire” e di “provare un
sentimento”. Quindi in diversi passaggi del capitolo il sinonimo
“udire” è inutilizzabile per rendere la duplice valenza e,
analogamente, “sentire” nel capitolo precedente non ricopre
adeguatamente la dimensione della “comprensione”. Così, dopo
diversi tentativi di uniformità nel tradurre le ricorrenze
all’interno dei due capitoli, opto per il calco più immediato:
entendre
sarà (quasi sempre) “intendere” e sentir
sarà “sentire”. Ovvio e banale, si direbbe. Io ci ho messo
diversi giorni per arrendermi a questa evidenza.
Del
resto è questa la mia opzione preferita per avvicinarmi
all’impossibile risultato di una traduzione “bella e fedele”
dal francese: incollarmi al testo, al suo scorrere parlato, alla
prima reazione che penso susciti in un lettore francofono e cercare
di riprodurre lo stesso risultato per un madrelingua italiano. Solo
quando colgo già nell’originale l’intenzione di giocare sui
doppi sensi o sui significati meno immediati di un termine o una
locuzione mi discosto con convinzione dai termini equivalenti più
piani, naturali.
Anche
grazie a questo approccio il lavoro procede senza particolari
intoppi, se non quelli legati a descrizioni di luoghi che non ho mai
visitato o di pitture barocche che non mi hanno mai affascinato.
Eppure un tarlo mi perseguita: il titolo originale non mi piace! È
il titolo dell’ultimo capitolo e per quello va bene, ma per
l’insieme dell’opera? Così all’ultima rilettura dell’intero
testo ritrovo, proprio nel capitolo conclusivo, l’espressione che
cercavo: “son
visage”,
quello di Cristo, è in un certo senso “il volto di tutti i volti”.
Già, ma chi sono io per decidere di cambiare titolo al libro di un
Prix Goncourt? Timoroso, mando una mail ad Alexis. Il giorno
successivo mi arriva la risposta: “ce
que tu proposes me paraît très bien, tout à fait dans l’esprit
du livre, et plus harmonieux qu’une traduction littérale de Son
visage et le tien.
Donc c’est parfait”.
Il
mio lavoro di traghettatore di senso è concluso.
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