Sabato 10 ottobre, nello spazio antistante l'obitorio dell'Ospedale degli Infermi di Biella, si è svolta una cerimonia in ricordo di tutte le persone decedute durante la pandemia da Covid19: un'occasione per stare accanto ai loro familiari e amici e per ringraziare gli operatori della salute per lo straordinario impegno professionale e umano profuso in quei giorni. Si è voluto così riunire i lutti individuali in un momento comunitario, per mostrare che quelle persone e famiglie sono parte integrante dell'unica comunità civile. A me è stato affidato il saluto di congedo.
Le
mie
intendono essere parole non di conclusione
ma
di apertura al futuro,
brevi,
perché il futuro è sempre tutto da scrivere.
Oggi
abbiamo
fatto memoria di persone care che ci hanno lasciato senza che le
potessimo abbracciare e senza che potessimo essere
abbracciati da loro.
Abbiamo
voluto dire grazie a
uomini
e donne che si sono spesi nel
prendersi
cura gli altri.
Abbiamo
vissuto un momento di commiato collettivo che non può certo
sostituire
il saluto intimo e personalissimo che ciascuno avrebbe voluto dare ai
suoi cari, senza
poterlo fare.
È
quindi qualcosa di molto meno di quello che avremmo voluto vivere in
questi mesi,
ma
anche molto di più,
perché
quello di oggi ha cercato di essere un saluto corale,
della
cittadinanza tutta,
di
esseri sociali pensanti e amanti, magari anche credenti,
di
quella comunità civile che insieme formiamo.
Nel
dolore e nella prova non siamo soli e non dobbiamo lasciare solo
nessuno.
Avremo ancora molto bisogno di questa consapevolezza.
Siamo
infatti entrati in un lungo cammino di prova
e di cura:
qualunque
prova e avversità possiamo incontrare,
sta
a noi percorrerlo animati dalla passione per la cura dell’altro.
Questo
saluto finale, quindi, non conclude,
ma apre al futuro,
a quanto ci
aspetta ora nel prenderci cura della debolezza e della fragilità
della nostra umanità, di
ciascuno di noi, della collettività nel suo insieme a
cominciare dai più
vulnerabili tra noi.
Vorremmo
che questo luogo – l’obitorio, ora lugubre anche nel nome –
potesse diventare un luogo permanente di memoria e di ringraziamento,
un luogo di consolazione, anche.
Magari
riusciremo anche a trovargli un nome più adatto,
un
nome capace
di scaldare il cuore e non di raggelarlo,
un
nome che evochi carezze e umanizzi la morte.
Intanto
cercheremo di renderlo meno anonimo, più sereno, di
abbellirlo con
immagini, colori, qualche
opera d’arte…
Ci
prenderemo cura del verde con
cui oggi
lo abbiamo ornato,
delle
piante che segneranno le stagioni.
Cercheremo
di farlo interagire con i luoghi che – all’interno dell’ospedale
– vogliono essere spazi di pace, silenzio, riflessione, preghiera:
la
cappella, la stanza del silenzio…
Sarà
un segno concreto, quotidiano della cura che ci prendiamo gli uni per
gli altri.
Arrivederci
e… continuiamo a contare gli uni sugli altri. Grazie
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