Ecumenical Prayer Cycle

giovedì 21 marzo 2019

Ecumene 2 - Missione / Edimburgo

La seconda puntata della mia rubrica Ecumene sul mensile Luoghi dell'Infinito, in edicola ogni primo martedì del mese assieme al quotidiano Avvenire affronta il termine Missione e lo collega a Edimburgo dove nel 1910 la Conferenza missionaria mondiale pose le basi per quello che sarebbe diventato il Consiglio Ecumenico delle Chiese




Fino a non molto tempo fa – e ancora oggi in alcuni ambienti ecclesiali – l’accostamento tra “ecumenismo” e “missione” era visto come inconciliabile alternativa: “ecumenismo o missione”. Eppure fu proprio lo scandaloso impatto della divisione tra i cristiani nelle terre allora definite “di missione” a innescare, oltre un secolo fa, i primi tentativi di dialogo tra le Chiese. Alla Conferenza missionaria di Edimburgo del 1910, infatti, numerosi rappresentanti di diverse denominazioni protestanti posero le basi del movimento ecumenico. I rispettivi missionari avevano toccato con mano quanto fosse controproducente per l’annuncio della salvezza portata da Gesù Cristo il fatto che ciascuna Chiesa lo proclamasse contrapponendosi o comunque “in concorrenza” con le altre.
Nel corso dell’ultimo secolo poi, il significato dei termini e l’estensione dei rispettivi ambiti di applicazione hanno subìto profondi mutamenti: destinatari della missione cessano di essere soltanto le popolazioni di terre lontane dove il Vangelo non era mai stato proclamato e diventano anche tanti battezzati che hanno abbandonato la pratica cristiana o le masse che abitano le periferie urbane ed esistenziali. Anche la riflessione sull’ecumenismo subisce influenze dalle circostanze storiche e sociali: basti pensare al relativamente recente fenomeno migratorio intra-europeo che mette in contatto quotidiano numeri significativi di fedeli di diverse tradizioni cristiane.
Ecumenismo e missione si avviano così a non essere più elementi “accessori” della vita della Chiesa, ma a costituire un prezioso intreccio radicato nell’insegnamento stesso di Gesù: la sua preghiera al Padre affinché i suoi discepoli “siano una cosa sola” implica infatti esplicitamente il fine cui questa unità tende e il frutto che essa produce: “perché il mondo creda” (Gv 17,21). Così l’esortazione che Gesù rivolge ai suoi discepoli assume la più alta valenza missionaria: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).
Forse è venuta l’ora, in questa nostra epoca di definitivo tramonto della cristianità, di riscoprire la portata evangelizzatrice della testimonianza – che sempre più spesso giunge fino all’offerta della propria vita, in quell’“ecumenismo del sangue” costantemente evocato da papa Francesco – resa da cristiani di diverse confessioni che si riconoscono fratelli e sorelle e che camminano insieme verso la piena unità visibile. In questo pellegrinaggio che conosce ancora pause e rallentamenti, sono di conforto le parole di papa Giovanni XXIII riprese in Ut unum sint: “Riferendosi agli altri cristiani, alla grande famiglia cristiana, egli constatava: "È molto più forte quanto ci unisce di quanto ci divide"” (UUS § 20). In questo spirito potremmo osare spingerci ancora più in là: non solo ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide, ma Colui che ci unisce, il Cristo, è più forte di colui che ci divide, il Diabolos, il Divisore. Alle nostre Chiese, a ciascuno di noi spetta allora questa scelta decisiva per la “corsa della Parola” (cf. 2 Tess 3,1) in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo e al cuore delle nostre società.




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