Fino
a non molto tempo fa – e ancora oggi in alcuni ambienti ecclesiali
– l’accostamento tra “ecumenismo” e “missione” era visto
come inconciliabile alternativa: “ecumenismo o
missione”.
Eppure fu proprio lo scandaloso impatto della divisione tra i
cristiani nelle terre allora definite “di missione” a innescare,
oltre un secolo fa, i primi tentativi di dialogo tra le Chiese. Alla
Conferenza missionaria di Edimburgo del 1910, infatti, numerosi
rappresentanti di diverse denominazioni protestanti posero le basi
del movimento ecumenico. I rispettivi missionari avevano toccato con
mano quanto fosse controproducente per l’annuncio della salvezza
portata da Gesù Cristo il fatto che ciascuna Chiesa lo proclamasse
contrapponendosi o comunque “in concorrenza” con le altre.
Nel
corso dell’ultimo secolo poi, il significato dei termini e
l’estensione dei rispettivi ambiti di applicazione hanno subìto
profondi mutamenti: destinatari della missione cessano di essere
soltanto le popolazioni di terre lontane dove il Vangelo non era mai
stato proclamato e diventano anche tanti battezzati che hanno
abbandonato la pratica cristiana o le masse che abitano le periferie
urbane ed esistenziali. Anche la riflessione sull’ecumenismo
subisce influenze dalle circostanze storiche e sociali: basti pensare
al relativamente recente fenomeno migratorio intra-europeo che mette
in contatto quotidiano numeri significativi di fedeli di diverse
tradizioni cristiane.
Ecumenismo
e missione si avviano così a non essere più elementi “accessori”
della vita della Chiesa, ma a costituire un prezioso intreccio
radicato nell’insegnamento
stesso di Gesù: la sua preghiera al Padre affinché i suoi discepoli
“siano una cosa sola” implica infatti esplicitamente il fine cui
questa unità tende e il frutto che essa produce: “perché il mondo
creda” (Gv 17,21). Così l’esortazione che Gesù rivolge ai suoi
discepoli assume la più alta valenza missionaria: “Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato
voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli
altri” (Gv 13,34-35).
Forse
è venuta l’ora, in questa nostra epoca di definitivo tramonto
della cristianità, di riscoprire la portata evangelizzatrice della
testimonianza – che sempre più spesso giunge fino all’offerta
della propria vita, in quell’“ecumenismo del sangue”
costantemente evocato da papa Francesco – resa da cristiani di
diverse confessioni che si riconoscono fratelli e sorelle e che
camminano insieme verso la piena unità visibile. In questo
pellegrinaggio che conosce ancora pause e rallentamenti, sono di
conforto le parole di papa Giovanni XXIII riprese in Ut
unum sint:
“Riferendosi
agli altri cristiani, alla grande famiglia cristiana, egli
constatava: "È molto più forte quanto ci unisce di quanto ci
divide"” (UUS
§
20).
In questo spirito potremmo osare spingerci ancora più in là: non
solo ciò
che ci unisce è più forte di ciò
che ci divide, ma Colui
che ci unisce, il Cristo, è più forte di colui
che ci divide, il Diabolos,
il Divisore. Alle nostre Chiese, a ciascuno di noi spetta allora
questa scelta decisiva per la “corsa della Parola” (cf. 2 Tess
3,1) in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo e al cuore
delle nostre società.
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