Ho pensato di scegliere 11 parole per narrare l’ecumenismo e la ricerca dell’unità visibile dei cristiani
e di accostare loro 11 luoghi che quei termnini possono evocare. Un modo per dare "luogo" all'u-topia (il non-luogo) dell'unità dei cristiani.
Potete qui trovare i testi man mano che vengono pubblicati sul mensile.
Il primo termine non poteva che essere "Unità" e il luogo "Gerusalemme"
“Gerusalemme
è
costruita come città unita e compatta” canta il Salmo 122,3 e gli
fa eco un altro: “di Sion sarà proclamato: ‘Ogni
uomo è nato in essa; l’Altissimo, lui stesso, la tiene salda’.
Il Signore scrive nel libro dei popoli: ‘Costui è nato là!’, ma
tutti danzeranno cantando: ‘In
te, [o Sion,] le nostre fonti!’” (Sal 87,5-7). E Giovanni, il
Veggente di Patmos, profetizza: “E vidi la santa città,
la nuova Gerusalemme scendere
dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo
sposo” (Ap 21,2).
È
da
qui, dalla Gerusalemme celebrata nei Salmi, dalla nuova Gerusalemme
prefigurata nell’Apocalisse, che deve prendere avvio ogni
riflessione sull’unità dei cristiani. Ed è nella Gerusalemme
storica che i primi discepoli di Cristo, riuniti attorno a Maria
nella Camera alta il giorno della Pentecoste, ricevono lo Spirito che
farà di loro “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32): è
“cominciando da Gerusalemme” che “nel nome di Gesù saranno
predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati”
(cf. Lc 24,47).
Sì
l’unità “dei cristiani” – non “della Chiesa”, che non ha
mai cessato di essere “una, santa cattolica e apostolica” – si
fonda sull’unità dei discepoli che si ritrovano dopo lo sgomento,
il rinnegamento, l’abbandono e la dispersione con cui avevano
reagito alla fine delle loro speranze segnata dalla passione e morte
del loro Maestro e Signore (cf. Lc 24,21).
Quando
ripensiamo alle vicende della Chiesa nei due millenni nei quali si
sono dispiegati “ questi giorni che sono gli ultimi” (cf. Eb 1,2)
siamo tentati di dire che l’unità dei cristiani va ricercata
nonostante un passato di divisioni, di scandalosa contraddizione
della volontà del Signore. Ma più in profondità e in verità,
dietro a noi sta l’unità visibile dei credenti in Cristo, quella
stagione che nel cuore e nella mente di Dio non ha mai fine e nella
quale “Non c'è giudeo né greco; non c'è schiavo né libero; non
c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”
(Gal 3,28).
Il
nostro futuro di cristiani ancora separati, ancora capaci di
infliggerci reciprocamente la ferita della mancanza di unità
visibile, ancora infedeli al loro Signore al punto di offrire al
mondo la controtestimonianza della divisione, il nostro futuro è
determinato da ciò che ci precede, non dal perpetuarsi del nostro
peccato. È l’unità che ci precede e ci attende, è l’unità che
ci viene incontro ogni volta che ci convertiamo all’unico Signore,
è l’unità che suscita, anima e sostiene ogni nostro sforzo per
tradurla in parole e opere di comunione.
Interrogarsi
sulla nostra distanza dall’unità voluta dal Signore per i suoi
discepoli significa interrogarsi su cosa ne abbiamo fatto di quella
Gerusalemme, città “visione di pace” che chiama all’unità:
oggi la visione che offre Gerusalemme non è di pace ma di guerra,
non di unità ma di separazione. Eppure è lì che ha preso vita la
Chiesa madre, quella comunità nata ai piedi della croce, dove il
Figlio crocifisso ha affidato la Madre al discepolo amato e il
discepolo amato – cioè ognuno di noi – alla Madre. È lì, in
quel sepolcro vuoto così pieno di senso e custodito nei secoli dalle
preghiere di generazioni di cristiani di ogni nazione, etnia, popolo
e lingua (cf. Ap 7,9), lì sono le nostre fonti di cristiani, lì il
nostro luogo di nascita, lì la nostra saldezza nelle intemperie
della vita. Lì il luogo del nostro “ritorno al Signore”, lì la
nostra possibilità di conoscere la misericordia del Signore nei
confronti del peccato di ciascuno di noi e dello scandalo comunitario
della divisione tra i cristiani.
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