SOGNI
INCROCIATI
E
STORIE CHE CRESCONO ASSIEME A CHI LE NARRA
Vi
è una novella delle Mille
e una notte
che da secoli continua a essere narrata, rielaborata, reinterpretata
e a
stimolare
la fantasia di narratori di ogni lingua e tradizione culturale. È
quella della Notte
351 o
dei due sogni.
Jorge
Luis Borges la
fa sua nel Libro dei sogni (1976) con il titolo,
Storia
dei due che sognarono.
Questa versione ispirerà
anche la trama de L’Alchimista
(1988)
di
Paulo Coelho. Più
recentemente Roberto Vecchioni inserirà il
racconto di Borges, riscrivendolo,
in La
vita che si ama. Storie di felicità (2016).
Ma
io resto affezionato alla versione “chassidica” che Martin Buber
ha fatto rivivere ne Il
cammino dell’uomo
(1990).
Riporto
a seguire, per un affascinante confronto, il testo di Borges e quello
di Buber con l’inizio del suo denso commento.
Storia di due che sognarono
Raccontano
uomini degni di fede che al Cairo c’era un uomo che possedeva
grandi ricchezze, ma era così magnanimo e liberale che le perse
tutte esclusa la casa di suo padre, vedendosi così costretto a
lavorare per guadagnarsi il pane.
Lavorò
così tanto che una notte il sonno lo colse ai piedi di un fico nel
suo giardino e in sogno gli comparve un uomo fradicio che estrasse
dalla bocca una moneta d’oro e gli disse: “La tua fortuna risiede
in Persia, a Isfaján; vai a cercarla”. Al mattino seguente si
svegliò e intraprese il lungo viaggio, affrontò i pericoli del
deserto, delle navi, dei pirati, degli idolatri, dei fiumi, delle
bestie e degli uomini.
Arrivò
infine a Isfaján, e in questo territorio lo sorprese la notte, così
si stese a dormire nel cortile di una moschea. C’era, vicino alla
moschea, una casa, e per del Dio Onnipotente una banda di ladri
attraversò la moschea e vi si introdusse. Le persone che dormivano
si svegliarono con il frastuono dei ladri e chiesero aiuto. Anche i
vicini urlarono, finché il capo delle guardie di quel distretto
accorse con i suoi uomini e i banditi fuggirono dal tetto.
Il
capo fece controllare la moschea e trovandovi l’uomo del Cairo lo
fece frustare con canne di bambù, talmente tanto che quasi morì. Si
svegliò dopo due giorni in carcere. Il capo lo mandò a cercare e
gli disse: “Chi sei e qual è la tua patria?” L’altro dichiarò:
“ Sono della famosa città del Cairo e il mio nome è Mohamed El
Magrebí”. Il capitano gli chiese: “Cosa ti ha condotto in
Persia?” Egli optò per la verità e disse: “Un uomo mi ha
ordinato in sogno di venire a Isfaján, dicendomi che lì ci sarebbe
stata la mia fortuna. Ora sono a Isfaján e vedo che la fortuna che
mi fu promessa dev’essere la fustigazione che mi hai tanto
generosamente dato.”
Davanti
a simili parole, il capitano rise fino a mostrare i denti del
giudizio e terminò dicendogli: “Uomo sciocco e credulone, tre
volte ho sognato una casa nella città del Cairo, al cui fondo c’è
un giardino, e nel giardino una meridiana e dopo la meridiana un fico
e dopo quello una fonte, e sotto a questa un tesoro. Non ho dato il
minor credito a tale bugia. Tu, invece, figlio di una mula e del
demonio, sei andato errando di città in città, sotto la sola fede
del tuo sogno. Che non ti veda più a Isfaján. Prendi queste monete
e vattene.”
L’uomo
le prese e ritornò nella sua patria. Sotto la fonte del suo giardino
(che era quella del sogno del capitano) dissotterrò il tesoro. Così
Allah lo benedisse e lo ricompensò.
Jorge
Luis Borges (traduzione
di Chiara Franchini)
Là
dove ci si trova
Ai
giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era
solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di
Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano
scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l’ordine di
andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al
palazzo reale. Quando il sogno si ripeté per la terza volta, Eisik
si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era
sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il
coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte
tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il
capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si
avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se
aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto
fin lì dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: “E
tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi?
Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch’io avrei
dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a
Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per
cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi?
Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una
città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l’altra metà
Jekel!”. E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e
dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata
“Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel”. “Ricordati bene di
questa storia - aggiungeva allora Rabbi Bunam - e cogli il messaggio
che ti rivolge: c’è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna
parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare”.
Anche
questa è una storia molto antica, presente in numerose letterature
popolari, ma la bocca chassidica la racconta in un modo veramente
nuovo. Non è stata semplicemente trapiantata dall’esterno nel
mondo ebraico: è stata completamente rifusa dalla melodia chassidica
nella quale viene raccontata; ma neanche questo è ancora decisivo:
l’elemento realmente decisivo è che la storia è divenuta
trasparente e ora emana la luce di una verità chassidica. Non le è
stata incollata una “morale”, al contrario, il saggio che l’ha
raccontata nuovamente ne ha finalmente scoperto e rivelato il
significato autentico.
C’è
una cosa che si può trovare in un unico luogo al mondo, è un grande
tesoro, lo si può chiamare il compimento dell’esistenza. E il
luogo in cui si trova questo tesoro è il luogo in cui ci si trova.
Martin
Buber (traduzione di Gianfranco Bonola)
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