lunedì 11 settembre 2017

GUERRA GIUSTA, PACEM IN TERRIS E SANTI PATRONI

             Sto ancora cercando di capacitarmi di come sia stato possibile che “Con decreto del 17 giugno 2017, la Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, in virtù delle facoltà concesse da papa Francesco, ha dichiarato san Giovanni XXIII ‘Patrono presso Dio dell’Esercito italiano’”.
       Avete letto bene, l’autore della Pacem in terris che dichiara “alienum a ratione, [estraneo alla ragione, folle] che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”, il papa della Chiesa universale viene proclamato “patrono” di un esercito nazionale!
       E questa decisione sconvolgente è presa da un organismo della Chiesa cattolica, apostolica romana “in virtù delle facoltà concesse da papa Francesco”, il medesimo pontefice di cui leggiamo queste parole in un volume-intervista appena uscito in Francia: “Ancora oggi dobbiamo pensare con attenzione al concetto di ‘guerra giusta’. Abbiamo imparato in filosofia politica che per difendersi si può fare la guerra e considerarla giusta. Ma si può parlare di ‘guerra giusta’? O di ‘guerra di difesa’? In realtà la sola cosa giusta è la pace”. [L’intervistatore gli chiede:] “Vuole dire che non si può usare l’espressione ‘guerra giusta’?”. [E il papa risponde:] “Non mi piace usarla. Si dice: ‘Io faccio la guerra perché non ho altra possibilità per difendermi’. Ma nessuna guerra è giusta. L’unica cosa giusta è la pace”.
            Ho cercato di capire le motivazioni evangeliche di una Bolla vaticana che “l’Ordinario militare per l’Italia, arcivescovo Santo Marcianò, consegnerà al Capo di Stato maggiore, generale Danilo Errico” e sono perciò andato a leggermi su L’Osservatore romano l’articolo che Ezio Bolis dedica alla notizia. Sono uscito frastornato dalla lettura: a parte la breve frase che annovera “il costante impegno [di papa Giovanni] in favore della pace” tra le motivazioni del decreto, tutto il resto dell’articolo fa riferimento a pensieri, parole e azioni non del “Vescovo di Roma che presiede nella carità”, bensì di don Angelo Roncalli durante gli anni della I guerra mondiale. Da essi emergono l’umanità del giovane prete bergamasco, la sua vicinanza alle immani sofferenze di tanti giovani, il suo ministero di compassione e di consolazione verso quei “cario giovani soldati”. Naturalmente negli scritti di quegli anni non si potrebbe pretendere di trovare frasi di condanna di una “inutile strage” da parte di un presbitero che ha come ministero l’assistenza spirituale e umana e persone che egli giustamente – e a differenza di molti suoi superiori – si rifiuta di considerare come “carne da macello”.
            Ma questo come può giustificare il “patronato” di un Pontefice proclamato santo su un esercito particolare, destinato per sua funzione intrinseca a combattere contro altri eserciti? È vero che da alcuni decenni si cerca di far passare l’idea che “il compito precipuo dell’esercito in uno stato democratico è difendere il bene prezioso della pace imponendo la forza della legge”, ma questa missione idilliaca mostra almeno due contraddizioni: da un lato “imporre la forza della legge” spetta alla polizia, non all’esercito, così come alla magistratura spetta inculcarne il rispetto; d’altro lato si tace sui mezzi con cui si pretende di “difendere il bene prezioso della pace”: armi da guerra sempre più sofisticate e distruttive, sempre più destinate a colpire civili e non militari, sempre più generatrici di “effetti collaterali” devastanti.
      Certo, molte popolazioni in Italia e all’estero provate da disastri naturali hanno conosciuto e conoscono il preziosissimo contributo dell’esercito nell’alleviare le loro sofferenze, ma questo è offerto da uomini disarmati, operanti sovente a mani nude e mai grazie a portaerei, caccia bombardieri, missili e cannoni... Un’occhiata al bilancio delle nostre Forze armate e ai suoi capitoli di spesa sarebbe molto indicativo per comprendere le priorità del nostro esercito, come del resto di tutti gli eserciti, anche di quelli che non hanno come patrono san Giovanni XXIII.
          Credo che san Giovanni XXIII – papa Giovanni, come ama ancora chiamarlo la mia generazione – sarebbe stato molto più adatto a essere proclamato patrono degli operatori di pace di tutte le nazioni. Comunque, per volontà di Dio, questi ultimi, uomini e donne oscuri testimoni della speranza hanno non tanto per “patrono”, ma per Signore e Maestro Gesù stesso che ha proclamato: “Beati gli operatori di pace!”. Con buona “pace” dell’esercito italiano.




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