“Il
meglio e l’ottimo a cui si possa giungere in questa vita
è
che tu taccia e lasci agire e parlare Dio.
Una
volta mi afferrasti, o Lanciatore.
Ora
nella tua tempesta.
Ora
verso la tua meta”.
Così,
citando Meister Eckhart, annotava nelle sue Tracce
di cammino
Dag Hammarskjöld
sessant’anni fa, il 26 settembre 1957, giorno della sua rielezione
per un secondo
mandato come Segretario generale dell’ONU.
Quattro
anni dopo, sempre in settembre, nella notte tra il 17 e il 18 l’aereo
sul quale viaggiava si schiantava al suolo nei pressi dell’aeroporto
di Ndola, al confine tra il Katanga e la Rhodesia del Nord, dove
Hammarskjöld avrebbe incontrato i secessionisti per tentare
un’estrema mediazione nella crisi congolese.
Il
10 agosto scorso il giudice tanzaniano Mohamed
Chande Othman –
incaricato
dall’ONU di verificare se nuove fonti o documenti avrebbero potuto
consentire un riesame delle indagini volte a stabilire le cause del
disastro – ha
consegnato la sua relazione all’attuale Segretario generale
António Guterres.
Il
supplemento
di indagine preliminare era stato deciso nel
2015, quando un’apposita commissione aveva valutato opportuno–
anche sulla base dell’accurato lavoro di ricerca compiuto da Susan
Williams, pubblicato in un libro dal significativo titolo Who
killed Hammarskjöld?
– affidare questo compito a una “eminente
personalità”.
Le
conclusioni sono quelle che tutti coloro che hanno seguito in questi
decenni la vicenda dell’opera e della morte di Dag Hammarskjöld si
attendevano: nei dossier dei paesi allora coinvolti nella turbolenta
questione congolese – in particolare Gran Bretagna, Belgio e U.S.A.
– si possono celare elementi tali da supportare l’ipotesi che
l’aereo di Hammarskjöld
sia precipitato in seguito all’intervento
ostile di un altro aereo.
A
me preme ancora una volta sottolineare la dimensione umana e
cristiana
di questo cittadino del mondo a servizio della polis*:
consapevole che il trovarsi nella tempesta non era estraneo al suo
rapporto con Dio, ma anzi che fosse il modo per incamminarsi
risolutamente verso la meta di Dio.
“The
best way out is always through” – aveva scritto il poeta Robert
Frost nel 1916 – e questo cercare la migliore via d’uscita non
nell’evasione ma nell’immersione nelle difficoltà, nel loro
attraversamento è stata una caratteristica dell’operare di
Hammarskjöld
durante
tutta la sua vita.
Nell’ultima
annotazione del Diario, il 24 agosto 1961, venti giorni prima di
morire, il Segretario generale dell’ONU sembra intravvedere la sua
“via d’uscita”: “Comincio a riconoscere la mappa e i punti
cardinali”.
* E' quanto ho già cercato di fare nella Prefazione all'ultima edizione di Tracce di cammino e in occasione del Seminario dell'Associazione Dag Hammarskjöld Today, tenutosi a Roma il 16 Novembre 2015:
* E' quanto ho già cercato di fare nella Prefazione all'ultima edizione di Tracce di cammino e in occasione del Seminario dell'Associazione Dag Hammarskjöld Today, tenutosi a Roma il 16 Novembre 2015:
Nessun commento:
Posta un commento